Quando la solidarietà diventa reato, ribellarci è giusto!

Ieri a Torino e in altre città d’Italia si è svolta un’operazione di polizia "in grande stile" con perquisizioni ed arresti di donne e uomini accusate/i, fra l’altro, di "impedire la regolare funzionalità dei centri di identificazione ed espulsione (Cie) per cittadini extracomunitari", come riportava un articolo pubblicato su La Stampa. Accusate/i, in sostanza, di antirazzismo e solidarietà con le/i migranti dentro e fuori i lager di Stato. 
Sui particolari della vicenda rimandiamo ai comunicati di Radio Blackout e degli Antirazzisti senza patria, nonché alle interviste raccolte da Radiocane.
 
Da parte nostra, vorremmo, invece, rilevare come la repressione si stia accanendo contro chi da anni sta cercando di rendere trasparenti i meccanismi del razzismo istituzionale e le mura dei lager di Stato per immigrati/e. Una trasparenza che fa evidentemente molta paura a chi, invece, vorrebbe mantenere, all’interno di quelle mura, una sorta di extraterritorialità dove ogni forma di violenza e di sopraffazione è lecita e garantita da un sistema omertoso di connivenze istituzionali, sdoganate dalla logica della "sicurezza".
 
Il lavoro fatto da Macerie e il particolare accanimento persecutorio contro chi vi si è dedicato/a in questi anni ne è un esempio lampante che fa il paio con le intimidazioni – virtuali e non solo – nei confronti di chiunque, nelle scorse settimane, stesse cercando di contrastare il meccanismo circolare Cie-carcere-Cie cui lo Stato italiano aveva destinato Joy, Hellen e le altre donne nigeriane. Un meccanismo confermato dalle operazioni notturne della questura milanese che, poche ore prima dei presidi solidali sotto le carceri in cui le cinque donne erano state richiuse, ha inviato diverse volanti a prelevarle in modo che non potessero incontrare la solidarietà fattiva che da mesi si stava esprimendo nei loro confronti.
Joy e Debby, infatti, sono stata prelevate all’una di notte dal carcere di Como, così come Hellen e Florence sono state portate via a tutta velocità e con una scorta di cinque volanti dal carcere di Brescia all’una e mezza di notte, nemmeno si trattasse di pericolosi capi-mafia.
 
"Ma perché mi hanno portata in carcere e perché adesso sono qui?" chiedeva ieri Joy a due compagne bolognesi che erano finalmente riuscite ad avere un colloquio con lei. Un incontro breve, 20 minuti cronometrati, sotto il controllo di un carabiniere e con una telecamera che filmava l’incontro.
Cosa risponderle? Come dirle che, per il suo coraggio, è diventata una sorta di prigioniera politica dello Stato razzista, così come prigionieri politici sono, senza dubbio, i compagni e le compagne che ieri hanno subito perquisizioni ed arresti per il loro attivismo antirazzista?
Esprimiamo, ovviamente, la nostra solidarietà e la nostra vicinanza a chi ha vissuto e sta vivendo sulla propria pelle questa guerra interna e neocoloniale. Ma siamo anche consapevoli che la solidarietà concreta a chi non si arrende al razzismo e all’ingiustizia sociale dominanti sta anche nel continuare a denunciare politicamente l’intreccio tra razzismo e sessismo, nel rendere sempre più trasparenti e fragili le mura di questi lager.
Noi non abbiamo paura e rimaniamo al fianco di Joy, Hellen, Debby, Florence, Priscilla, Andrea, Fabio, Luca, Maya, Marco, Paolo. Rimaniamo al fianco di tutte/i coloro che non intendono essere complici di una regime securitario basato su minacce, terrore e violenza.
 
Noinosiamocomplici 
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