Nelle ultime settimane in Italia si è assistito all’ennesimo orrendo teatrino dello scontro di (in)civiltà giocato sulla pelle delle donne. Ancora una volta trionfa l’ipocrisia guerrafondaia dei ‘due pesi due misure’, per cui se tu sei straniera e vieni massacrata/stuprata da tuo padre, fratello, marito, fidanzato, zio allora è colpa della cultura retrograda da cui provieni e dove urge che corriamo ad ‘esportare democrazia’ con le bombe, ma se sei italiana e vieni massacrata/stuprata da tuo padre, fratello, marito, fidanzato, zio allora hai avuto la ‘sfortuna’ di capitare là proprio mentre costui era in preda a un ‘raptus inspiegabile’ – uno di quei ‘raptus’ che in questo paese sono un pretesto funzionale per dissimulare la quotidiana mattanza di donne da parte di parenti e conoscenti.
Allo stesso modo se, come Sakineh, sei stata condannata a morte da un Paese ricco di risorse petrolifere ma considerato ‘nemico’, allora la tua storia conquisterà tutte le prime pagine dei giornali e tutti saranno pronti (per altro solo a parole o con una rapida firmetta…) a mobilitarsi per te. Se invece, come Faith, hai avuto la ‘sfortuna’ di nascere in un Paese altrettanto ricco di risorse ma considerato ‘amico’ delle multinazionali petrolifere, Eni compresa, la tua condanna a morte non interesserà a nessuno e il tuo nome verrà immediatamente dimenticato.
Eppure Faith si trovava già in Italia da tempo, quando la questura di Bologna ha deciso di espellerla – e dunque di consegnarla al boia nigeriano – dopo averla rinchiusa in un Cie.
E’ retorico, forse, chiedersi chi avrebbe mai speso mezza parola se Sakineh anziché in Iran si fosse trovata rinchiusa in un lager per immigrati/e in Italia. E’ retorico, forse, ma certamente non inutile.
Ed è per questo che sui muri di alcune città cominciano a comparire dei manifesti per smascherare, con poche parole, questa logica dominante che giorno per giorno cerca di renderci tutte complici dei suoi crimini.