Tortura democratica e disumanizzazione – Cie, carceri, 41bis, Opg
ne parliamo con Silvia Baraldini al circolo Iqbal Masih (via della Barca 24/3, Bologna)
* martedi 14 giugno (serata per donne&lesbiche) – ore 19.30 buffet benefit, ore 21.00 discussione
* mercoledì 15 giugno (serata aperta a tutti e tutte) – ore 19.30 buffet benefit, ore 21.00 proiezione del documentario “Il filo rosso della resistenza” (2010) a cura delle compagne antifasciste di Padova, a seguire discussione
Il carcere…
… è un deterrente per le classi meno garantite, la minaccia che si paventa ai poveri per far rispettare le leggi e le regole volute e imposte dai ricchi per mantenere un ordine funzionale ai loro profitti. Ti fa abituare al controllo e alle regole non decise dagli individui in accordo tra di loro ma da chi detiene il potere.… rappresenta il controllo e l’inesorabilità del sistema di comando: se trasgredisci alle regole del sistema finisci dentro. Così il carcere entra dentro di noi: mediante la paura di finire in galera, le lotte contro le ingiustizie sociali si autoreprimono.
Quanto carcere è dentro di noi?
Pensiamo alle nostre vite ingabbiate nella burocrazia, al potere dei datori di lavoro, al potere illimitato dei medici sui nostri corpi, allo strapotere delle forze dell’ordine, alla militarizzazione dei territori, alla capillarità del controllo in questa società dove le azioni di ciascuno sono osservate, controllate e registrate da esercito, polizia, assistenti sociali. Per le donne la stessa funzione di controllo è svolta dall’educazione alla subordinazione e alla mediazione con il potere maschile. Quando le donne non rispettano canoni di comportamento loro consentiti, vengono accusate di follia e isolate.
Il carcere…
… rappresenta, senza veli, il volto violento della società: infantilizzazione delle persone recluse, il cui destino è affidato completamente nelle mani dell’istituzione – guardie, direttore, magistrati e avvocati; controllo della sessualità e sua umiliazione attraverso l’uso di telecamere, controllo visivo, ammiccamenti; totale invasione della sfera intima dall’arrivo nella struttura, dove si è obbligati/e a denudarsi, a piegarsi e addirittura a subire ispezioni vaginali o anali, violenze simboliche e stupri; perquisizioni personali prima e dopo i colloqui; controllo e annullamento delle relazioni interpersonali attraverso il controllo della posta e dei colloqui, censura della posta in entrata e in uscita; perquisizioni improvvise delle celle di giorno e di notte e frequente distruzione delle cose personali; trasferimenti da un carcere all’altro sul tutto il territorio nazionale; somministrazione di farmaci senza mostrare alla persona la confezione o il blister e senza informarla del contenuto delle iniezioni; frequente impossibilità di prendere visione del regolamento carcerario, quindi totale discrezionalità del personale di guardia.
Il 41bis…
… va oltre tutto ciò: punta all’annientamento delle persone privandole della linfa vitale degli esseri viventi, cioè le relazioni con gli altri e con l’ambiente circostante.
Deprivazione sensoriale, controllo continuo con telecamere, finestre e cortili costruiti in modo da impedire di vedere il cielo, provvedimenti che puntano a rendere impossibili le relazioni sia con altri/e detenuti/e sia con avvocati, parenti o amici. Tutte forme di tortura già sperimentate in altre carceri – come Voghera o Stammhein – nei decenni passati.
Quanto si può resistere in questa condizione?
Il regime carcerario, oltre ad essere una minaccia e una vendetta contro qualsiasi forma di ribellione, è una tortura che porta all’annullamento psichico e fisico di chi vi è rinchiuso/a. È un’espulsione dalla specie umana e una condanna a morte lenta e silenziosa.
Gli Opg…
… dalla metà degli anni Settanta hanno sostituito i manicomi criminali. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono strutture che dipendono dall’Amministrazione penitenziaria e condensano in sé la violenza del manicomio e quella del carcere duro. “Un letto di contenzione con un foro nel mezzo per la caduta degli escrementi ed un paziente, completamento nudo, legato sopra con corde a braccia e gambe. Il letto è arrugginito, per l’urina che da anni lo bagna”: questa una delle descrizioni fatte dalla commissione d’inchiesta che li ha visitati.
I Cie…
… sono nati con il nome di Cpt nel 1998 come lager per donne e uomini immigrati sprovvisti del permesso di soggiorno e resi ancora più feroci col “pacchetto sicurezza”, che li ha rinominati eufemisticamente Centri di identificazione ed espulsione.
I “democratici” si indignano di fronte a queste strutture – a volte create da loro stessi, com’è il caso dei Cie, ex Cpt, frutto mostruoso della legge Turco-Napolitano – ma non muovono un dito perché vengano chiuse una volta per tutte.
Chi davvero lotta contro questi luoghi di violenza e tortura legalizzate diventa, a sua volta, vittima della repressione statale.
Contro tutte queste strutture disumane l’indignazione non basta: vanno chiuse una volta per tutte senza se, senza ma e, soprattutto, senza paura!
Tutti/e all’Aquila il 18 giugno, contro carcere e 41bis, al fianco di chi si ribella!
Mai più schiave!
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