Milano, una storia di doppia violenza

 
Come molte sicuramente ricordano, il 2 febbraio del 2008, nella filiale Esselunga di viale Papiniano a Milano, ad una donna peruviana con problemi renali era stato impedito, per oltre quattro ore, di lasciare la cassa per andare in bagno, causandole una cisti emorragica. Siccome questa lavoratrice aveva denunciato il fatto al sindacato, il 28 febbraio era poi stata aggredita negli spogliatoi del supermercato, massacrata e lasciata per terra svenuta. 
Perché donna. Perché migrante. Perché aveva osato denunciare l’ingiustizia subita.
Il referto medico aveva riscontrato un trauma cranico-facciale, una distorsione cervicale, numerosi ecchimosi agli arti inferiori e una contusione al braccio destro. 
Nonostante ciò, il pubblico ministero Piero Basilone aveva recentemente chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, sostenendo che "Dagli accertamenti è emerso un quadro psicologico (certamente patologico) di pregressa e grave sofferenza che, con grande misura e con tutto il rispetto per la vittima, non può certo essere del tutto trascurato in una doverosa, attenta considerazione dell’ intera vicenda". E così la la Gip Maria Grazia Domanico ha deciso per l’archiviazione: "L’autore del fatto non è stato identificato e pertanto va accolta la richiesta di archiviazione". 
Certamente Bernardo Caprotti, padrone-schiavista della catena Esselunga, starà esultando di fronte a questo regalo. Non solo la donna è stata dichiarata "pazza"  – tipico stigma patriarcale usato contro le donne che hanno il coraggio di reagire – ma la Gip in qualche modo conferma che l’azienda ha tutti i diritti di impedire ad una lavoratrice di andare in bagno: "A tale condotta – ha affermato infatti la giudice Maria Grazia Domanico – non può essere ricondotta alcuna fattispecie di reato".
Insomma, il quadro della doppia violenza è chiaro: alla violenza subita nel luogo di lavoro si aggiunge quella del tribunale. 
La violenza che le donne, soprattutto le migranti, vivono negli universi concentrazionari – carceri, Cie, strutture psichiatriche – si riproduce nei luoghi di lavoro. Dall’istituzione totale all’azienda totale i meccanismi sono i medesimi. E quando qualcuna rompe l’omertà su queste violenze diventa la vera accusata. Proprio come Joy ed Hellen, che continuano a rischiare un processo per calunnia per non aver taciuto sul tentato stupro nel Cie di via Corelli, a Milano.
Questo paese sessista e razzista vorrebbe la totale sottomissione delle donne, ancor più se migranti, agli sfruttatori così come agli stupratori – naturalmente di "pura razza italiana"! 
Sta a tutte noi, italiane e migranti, rompere l’omertà e, senza nessuna delega alle istituzioni, rivitalizzare l’agire collettivo contro un sistema che legittima e alimenta la violenza contro le donne.
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