La lotta di Joy continua. E anche la nostra…

 

Volentieri pubblichiamo questo contributo di alcune compagne di Milano.

Ricordiamo il presidio che si terrà domani a Torino fuori dal Cie alle 14.00 contro la deportazione di Debby e Priscilla e il corteo di sabato 19 giugno a Modena contro i Cie.

 

Su Joy, sulla libertà e i suoi nemici

Si può considerare Joy libera grazie all’applicazione di un art. 18? Si può considerare una persona libera quando è obbligata a collaborare con la giustizia, denunciando gli sfruttatori e costretta a vivere in una casa protetta? 

Sappiamo tutti e tutte che questa non è la libertà.

Joy è solo uscita dal Cie ed è uscita con un articolo 18,  unica soluzione possibile  per un nemico che, altrimenti, avrebbe dovuto riconoscere una sconfitta troppo grande per sé. 

Un nemico che ha classificato come “calunnia” il racconto della violenza sessuale fatto da Joy in aula, e confermato da Hellen sua compagna di stanza nel Cie di Milano; nemico che si è stretto attorno all’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso, autore della tentata violenza, negando pubblicamente l’atto con un comunicato stampa, comunicato che aveva anche lo scopo di giustificare le cariche in Piazza Cadorna a Milano il 25 novembre 2009, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per aver esposto uno striscione su cui era scritta la verità: nei Cie la polizia stupra.

Un nemico che nei giorni che precedenti la scarcerazione di Joy, ha cercato di far credere che lei stessa avesse revocato il suo avvocato, unico canale di contatto e comunicazione con l’esterno. Revoca mai esistita, mai firmata e, quindi, non dimostrabile al momento della richiesta da parte dei legali.

All’alba del 12 febbraio tre presidi prendevano forma sotto le tre carceri di Brescia, Como, Mantova, dove erano rinchiuse le cinque ragazze, compagne nella rivolta di agosto nel Cie di Milano, per impedire che finissero nel l’infernale circuito Cie-carcere-Cie. Non riuscendo nel tentativo di isolamento,  il nemico, con un’operazione congiunta nei tre diversi luoghi, in piena notte le ha prelevate dalle celle portandole in tre Cie diversi, scegliendo, non a caso, il Cie di Modena per Joy: unico a non permettere all’interno l’uso del cellulare da parte dei reclusi. 

A marzo, con un blitz veloce,  e sperando che fosse anche indolore, la questura tenta la deportazione di Joy e delle altre ragazze in Nigeria. Operazione non riuscita, grazie all’azione congiunta di solidali e avvocati, quest’ultimi raggiunti da telefonate con toni “molto accesi” da parte delle cosiddette stanze alte del potere.

Ma si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire e lo è anche per un nemico che deve tentare l’ultima mossa, per proteggere uno dei suoi uomini e per mettere a tacere chi si oppone con la lotta.  Forti pressioni vengono fatte a chi di dovere per impedire che il percorso sull’art.18 prosegua e che le case protette accettino “il caso Joy”, e si sa quando si tocca un tasto sensibile come quello del denaro, dei fondi, dei contributi, è facile che molte, troppe, strutture trovino la via per rifiutare la protezione alla ragazza. C’è sempre l’eccezione che conferma la regola.

All’elenco non aggiungiamo i banali  dispetti,  le denunce, i pedinamenti, le intimidazioni, le smaccate connivenze con i media ecc., caratteristiche e mosse che conosciamo bene e che fanno da arredo e corredo ogni volta che sai di aver imboccato la strada giusta.  

Così si arriva all’8 giugno, data dell’incidente probatorio: non è più possibile negare l’accusa di violenza sessuale, ne va preso atto e va esaminata in tutte le sue sfaccettature; si arriva anche al 10 giugno, giornata in cui il giudice di pace di Como avrebbe dovuto decidere sul ricorso per l’ultimo procedimento di espulsione di Joy, e si sarebbe arrivati all’11 giugno, giorno in cui la questura di Modena avrebbe dovuto decidere se convalidare per altri due mesi il trattenimento di Joy nel Cie.

Ma la mattina del 9 giugno qualcosa succede: ormai  praticamente con le spalle al muro, al nemico non rimangono che due soluzioni disponibili: un atto di forza tentando la deportazione di Joy, condannandola a morte, oppure un’uscita “legale”, con magari, la successiva possibilità di fare le dovute pressioni per archiviare il processo per violenza.

In questo quadro la questura di Brescia, a sorpresa e con dubbio tempismo, nomina il pm per l’articolo 18 che riguarda Joy e fa richiesta di permesso di soggiorno per tale motivo alla questura di Modena. Due giorni dopo, con le “dovute” attese burocratiche in un assolato pomeriggio di giugno Joy esce dal Cie di Modena.

Mentre Joy non ha nemmeno ancora vissuto pochi giorni di libertà per essere poi condotta in una casa protetta, tutti/e già fanno a gara per annunciare la liberazione di Joy, per accreditarsi all’interno dei propri ambiti come autori o autrici di tale vittoria di Pirro; l’associazionismo sgomita, qualche figura istituzionale come un avvoltoio si aggira sulla preda, e qualcun altro si gratifica di vedere il proprio nome scritto sulle pagine di un quotidiano.

Sappiamo bene, tutti e tutte, che la storia delle rivolte è spesso, non sempre, segnata da repressione, sangue e morte. Anche quella dell’agosto 2009 in Corelli non si discosta da questo: Elabouby è morto in carcere a gennaio perché non voleva, una volta scarcerato, ritornare in un Cie,  dove Debby, Priscilla ed Ibrahim  hanno fatto ritorno e sono tutt’ora rinchiuse/i  e continuano con forza a lottare, contro anche la concreta possibilità a breve di una deportazione. 

L’uscita di Florence, Hellen e Joy con permessi di soggiorno “per motivi umanitari”,  assume per noi il significato di aver riportato "a casa" delle vite, evitando temporaneamente deportazione e morte certa, questo ci sembra un motivo più che valido per essere felici e festeggiare.

E’ il percorso che ha portato alla loro uscita, a costituire per noi una piccola o grande vittoria, perché sappiamo che è stato imposto con la lotta e senza elemosinare aiuti ad associazioni, istituzioni e quant’altro.

Il piano di lotta tentato sulla vicenda di Joy e nella lotta contro il dispositivo Cie in generale, si è declinato in modo inedito e forte:

– ha creato una rete di relazioni autonome che sono riuscite, nella lotta contro i Cie, ad andare oltre ad un ambito ristretto allargandosi a livello nazionale ed internazionale

– ha messo in luce i nervi scoperti del nemico, rispondendo a viso aperto senza esclusione di colpi

– è andato oltre il racconto dei fatti, ed attendendo una rivolta collettiva ha imposto ad ognuno/a di volta in volta di scegliere da che parte stare.

– si è esteso ed ha permesso di entrare in relazione con altri teatri di lotta: dagli operai delle cooperative, agli occupanti di case, ai rom di Triboniano, rompendo gli isolamenti ed insegnandoci ad affrontare apertamente il nemico, senza cercare vie di fuga.

Un’esperienza che è stata anche una sintesi di coincidenze e complicità tra solidali, una sintesi che forse sarà difficile ripetere ma che sicuramente ha messo in evidenza modalità, contesti e pratiche che nelle lotte contro i Cie, nelle deportazioni e più in generale nella politica statale di gestione dell’immigrazione hanno molto da dire a chi volesse affinare le armi.

Joy non è ancora libera. E non lo sarà finché il reato di clandestinità sarà accettato e degli uomini e donne saranno considerati come tali. La sua lotta continua, come la nostra. 

Alcune compagne di Milano

 

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