“Il maschio lo faccio a casa con mia moglie”

 
"Il maschio lo faccio a casa con mia moglie", così ha orgogliosamente tuonato un poliziotto mentre perquisiva la borsa di una compagna alla pretestuosa ricerca di esplosivo e trovandovi, invece, pericolosissimi appunti universitari.
Ma partiamo dall’inizio. Nei giorni scorsi era cominciato lo sciopero della fame nel Cie di Bologna; degli scioperanti ieri 15 sono stati trasferiti nel Cie milanese dove, per l’occasione, è stata "inaugurata" una nuova sezione. Questa mattina un gruppo di compagne/i si è ritrovato in via Barontini a Bologna, dove hanno sede gli uffici dei giudici di pace, per fare un’iniziativa informativa sul ruolo di questi giudici nel dispositivo detenzione-espulsione di donne e uomini migranti ed esprimere la propria solidarietà a chi, rinchiuso nei lager per migranti, sceglie di reagire. Armate/i di volantini, hanno gironzolato per i corridoi dello stabile, volantinando e spiegando alle persone presenti che il giudice di pace non è solo colui cui si ricorre contro le multe ma anche quello che dà le espulsioni, convalida la detenzione nei lager di Stato nel momento in cui vi viene rinchiuso/a chi non ha il permesso di soggiorno e prolunga, poi, fino a 180 giorni quella detenzione in base alle nuove norme del "pacchetto sicurezza".
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Sospesi (per ora…) i rimpatri coatti in Nigeria

Un provvidenziale vulcano islandese, bloccando con le polveri della sua eruzione i voli aerei, ha bloccato le espulsioni.
Ma il governo nigeriano, complice delle deportazioni, ha invece bisogno del morto e non per bloccare ma per sospendere momentaneamente i rimpatri, come si può leggere in questo articolo preso da un giornale del Camerun di qualche giorno fa.
 
Nigeria: le autorità locali non accettano più i rimpatri forzati dei richiedenti asilo 
Dopo la morte di un richiedente asilo in via d’espulsione il mese scorso a Kloten, in Svizzera, la Nigeria ha deciso di non accogliere i propri profughi se non quelli che accettano volontariamente il rimpatrio. L’informazione è stata diffusa oggi da radio Voice of Nigeria (VON) e poi ripresa da vari media nazionali ed occidentali. Secondo questa fonte, la Repubblica federale della Nigeria, reputa che “Una volta che la domanda d’asilo dei propi cittadini viene rigettata, la loro sicurezza non è più garantita al momento del rimpatrio”.
Secondo Lagos, i richiedenti nigeriani, al momento della richiesta d’asilo all’estero, devono dichiarare per iscritto che saranno volontari al rimpatrio, affinchè il loro paese li riaccetti.
Secondo le ultime informazioni ricevute oggi dalla redazione di Camer.be, l’Ufficio federale di migrazione (ODM) ha sospeso i voli di rimpatrio verso Lagos. Le espulsioni non riprenderanno fino a quando non sarà chiara la causa del decesso del nigeriano morto il 17 marzo.
Per contro, l’Osservatorio svizzero del diritto d’asilo e degli stranieri, Solidarité sans frontières, Société pour les peuples menacés, Nigerian Diaspora Organisation, e tutte le organizzazioni svizzere dei diritti, chiamano ad una manifestazione di lutto sabato 17 aprile 2010 dalle 18.00 alle 19.00 alla Heiliggeistkirche di Berna, in Svizzera, in memoria del nigeriano Joseph Ndukaku Chiakwa, deceduto il 17 marzo scorso in svizzera, al momento del rimpatrio forzato dal territorio elvetico. 
Secondo le organizzazioni citate, nel loro comunicato pervenuto alla nostra redazione, “La manifestazione bernese invita sia al lutto che alla protesta politica contro la violenza crescente che si manifesta nelle pocedure concernenti l’asilo. Joseph Ndukaku Chiakwa, richiedente d’asilo di 29 anni, è morto il 17 marzo scorso in un hangar dell’aereoporto di Kloten, mani e piedi legati, la testa interamente bendata da una rete da apicoltore. Era scappato dalla sua terra, la Nigeria, e aveva sollecitato la protezione alla Svizzera, che ha rifiutato la sua domanda d’asilo. Rifiutava di essere rimpatriato con la forza là dove non avrebbe potuto vivere. La morte di Joseph Ndukaku Chiakwa è stata preceduta, il primo maggio 2001 alle due del mattino, dal decesso di Samson Chukwu. Questo ragazzo di 27 anni, anche lui nigeriano, è morto nella sua cella d’espulsione nel canton Vallese, dopo che due poliziotti l’avevano legato per traspostarlo e procedere al suo rimpatrio forzato. Il 3 marzo 1999 moriva soffocato, dopo atroci sofferenze, durante il secondo tentativo di rimpatrio forzato, il palestinese Khaled Abuzarifa, 27 anni, mani e piedi legati, la bocca tappata da un nastro adesivo".
Queste organizzazioni reputano, dalla loro, che le misure di rimpatrio forzato dai territori elvetici siano “inumane”. Al momento in cui andiamo in stampa molte organizzazioni degli emigrati camerunensi e alcuni emigrati ghanesi del canton Ginevra, si sono uniti alla causa. Seguiranno aggiornamenti.
 
Leggi l’articolo originale in francese 
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Mercoledì 21 aprile, iniziativa antirazzista a Palermo

Mercoledì 21 aprile
Il Forum Antirazzista di Palermo invita ad una serata al Laboratorio Zeta in via Boito 7 (zona Stazione Notarbartolo)
ore 19:00 Aperitivo-benefit a sostegno di Joy, Hellen, Debby e Priscilla. 
ore 21:00 Presentazione, con la partecipazione dell’autore, dell’ultimo libro di Gabriele Del Grande Il mare di mezzo.
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Dodici donne in sciopero della fame nel Cie di Bologna

 
Della cinquantina di reclusi/e nel Cie di via Mattei in sciopero della fame da ieri, circa dodici sono donne, in gran parte cinesi.
 
Rimandiamo al sito di Macerie per leggere il report sul presidio di sabato e ascoltare le dirette da quello organizzato ieri a sostegno della protesta.
 
Ricordiamo che il Cie bolognese, come quello modenese, è gestito dalla confraternita della Misericordia. Il "cibo" viene fornito dalla Concerta S.p.A. 
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Uomini e donne con le mani e i piedi ammanettati…

L’agghiacciante testimonianza (tradotta e pubblicata in una m-list) di un nigeriano deportato con un charter Frontex e l’appello per una settimana internazionale di lotta contro le deportazioni
 
Le persone portate come cadaveri
Ho avuto lo choc della mia vita quando abbiamo cominciato il nostro viaggio [dal centro di detenzione] di Tinsley House all’aeroporto. Siamo restati nel bus dalle ore 11 alle 18 senza poter uscire. Nel bus non abbiamo potuto muoverci né uscire per 7 ore, poiché ogni detenuto era scortato da due agenti di sicurezza.
Gli agenti di sicurezza prendevano una pausa ogni 30 minuti ed erano rimpiazzati da altri agenti, mentre noi, restavamo seduti, stretti come sardine in scatola. Le mie gambe si sono gonfiate e sembravano pesanti come mai mi era successo. 
Più le ore avanzavano, più ogni ora era per noi un’ora di lotta. Mi sentivo sempre più debole, come se il mio sangue avesse smesso di circolare. Non eravamo affatto preparati a ciò che stava per succedere su quel volo charter.
Ovunque posassi il mio sguardo, non c’era che punizione gratuita.
C’erano molte donne tristi e molti bambini nei loro passeggini. I bambini piangevano con veemenza vedendo come i loro genitori venivano trattati. Su questo volo c’erano molte donne con neonati e i minori separati dai loro genitori avevano la tristezza sul viso. Continua a leggere
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Il Cie di Modena sta diventando un lager di massima sicurezza?

Ieri due compagne bolognesi sono andate alla prefettura di Modena per ritirare, come altre volte, l’autorizzazione per incontrare Joy, ma si son sentite dire che da mercoledì 14 aprile è tutto bloccato a causa di una nuova circolare della questura – che non è dato visionare – secondo la quale chi richiede un colloquio con detenuti/e del Cie modenese verrà sottoposto ad accertamenti di polizia. 
L’iter per ottenere il permesso di colloquio dentro il Cie di Modena, che prima era di competenza solo della prefettura, viene così allungato.
 
Non accettando passivamente la motivazione addotta, le compagne hanno chiesto al funzionario di poter vedere se fra i permessi concessi per il colloquio risultassero i loro nominativi, in quanto avevano fatto regolare richiesta. Nella cartelletta dei permessi non risultavano quelli a loro nome. 
Mentre accedeva tutto ciò, all’altra scrivania una donna migrante otteneva il foglio di permesso al colloquio previo avviso da parte del funzionario che "In ogni caso è possibile che poi all’entrata del Cie non facciano accedere al colloquio".
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Sprazzi di realtà contro l’abominio dei Cie

 
Milano, 14 aprile 2010. 
All’Università Statale di via Festa del Perdono, l’atmosfera era surreale.
Sotto le insegne della mostra-evento Interni think tank, orde di visitatori anestetizzati da un profluvio di suoni, luci e colori potevano immergersi in un’imperdibile occasione di “socializzazione” in cui, tra tazzine di caffè sospese per aria e altri oggetti non meglio identificabili, il Presente faceva sfoggio della propria assurda vacuità.
 
In serata, uno sprazzo di realtà ha fatto irruzione in questo scenario ovattato. In barba alla vigilanza di una security criptofascista, uno striscione gigante è apparso dal bel mezzo della balconata d’onore. Vi si poteva leggere Contro abominio e internamenti la nostra proposta di design sociale: distruggere tutti i C.I.E., mentre nel cortile d’onore dell’Università venivano lanciati e distribuiti volantini che, détournando il testo di presentazione dell’installazione principale della kermesse, attiravano l’attenzione sull’Abominio del Cie di via Corelli e un compagno saliva sul palco musicale per ribadire la necessità di distruggere i lager di stato.
Come il giorno prima, quando durante la conferenza stampa sono apparsi degli striscioni che ricordavano quanto accade nei Cie  – vi si poteva leggere, tra l’altro, Nei Cie la polizia stupra – qualcuno ha voluto in tal modo rendere visibile, nel quadro di questa autocelebrantesi vetrinizzazione sociale, l’osceno dei Cie.
 
Antirazziste e antirazzisti
Leggi il volantino abo-MINI ed il programma della due giorni all’università statale di Milano contro i Cie (20-21 aprile)
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Domenica 18 aprile, dalle 17: presidio sotto il Cie di Torino

Come ogni terza domenica del mese, il 18 aprile antirazziste/i torinesi si troveranno sotto al Cie di via Brunelleschi.

Guarda il volantino su Macerie 

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Domenica 18 aprile, dalle 10: iniziativa contro i Cie a Parma

PUNTO INFO
CIE – CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE
DOMENICA 18 APRILE DALLE ORE 10.00
PIAZZALE MATTEOTTI PARMA
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Marce sono alcune mele o tutta la piantagione?

 
 
Mentre il Vaticano è impegnato in un triplo salto mortale per contenere l’emersione delle violenze sessuali contro bimbe e bimbi nelle chiese, negli oratori e nelle missioni, fra gli uomini in divisa la situazione non è migliore.
Da tempo le compagne ripetono che nei Cie la polizia stupra e pagano questa verità con le "particolari attenzioni" rivolte loro dalle varie questure italiane: computer "impazziti", telefoni controllati, cellulari isolati, digos piazzati sotto questa e quella abitazione, pedinamenti, ripetuti controlli di documenti per strada e altre amenità, fino ad arrivare alle cariche e alle manganellate come a Milano lo scorso 25 novembre
Questi tentativi di intimidazione non ci dissuadono dal proseguire nel nostro percorso di denuncia politica ma, anzi, ci confermano di aver imboccato la strada giusta. 
In questi giorni, infatti, si moltiplicano le notizie di abusi sessuali da parte dei "servitori dello Stato": oltre agli stupri commessi da alcuni finanzieri e di cui abbiamo già parlato, è di ieri la notizia di  M.T. (figuriamoci se nel giornali danno il nome per esteso: mica è un immigrato!), poliziotto trentenne di Bosaro (Rovigo) che ha stuprato una dodicenne minacciandola con un coltello; oggi, invece, leggiamo su un quotidiano che un ispettore di 56 anni e un assistente di polizia penitenziaria – di cui non è dato sapere il nome – sono accusati di aver ripetutamente violentato due ragazze transessuali nel carcere di San Vittore, a Milano.
Anche di costoro, ovviamente, si dirà che sono delle "mele marce" e forse qualcuno ancora ci crederà. 
Ma per quanto tempo ancora riusciranno a coprire gli abusi sessuali degli uomini in divisa? 
Per quanto tempo ancora riusciranno a far bere a questo paese lo sciroppino della sicurezza per la salute delle donne?
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