“E poi parlano tanto di Hitler… e questo razzismo cos’è allora?”

Pubblichiamo e sottoscriviamo
 
Al Cie di via Mattei nessuna quiete dopo la protesta 
Dopo l’incendio di lunedì 24 maggio che ha bruciato ben cinque celle del Centro di Identificazione ed Espulsione per immigrati di via Mattei a Bologna, la vita continua ad andare avanti per gli uomini e le donne rinchiusi là dentro. Ma la quiete non è tornata, al contrario di ciò che alcuni pennivendoli sinistronzi scrivono sui loro giornali. Non è tornata perché non c’è mai stata, perché la rabbia continua ad ardere ogni giorno, ogni minuto, nel cuore di chi è stato privato della libertà e costretto a vivere il suo tempo in un luogo che, pur travestito di plexiglas, non riesce comunque a sembrare qualcosa di diverso da quello che effettivamente è, una prigione per stranieri. È tornata al contrario la “normalità”, come ben si augurava la direttrice del Cie Anna Maria Lombardo pochi giorni fa in un articolo apparso su “L’Unità” dopo l’esplosione del caso della donna tunisina che si era cucita le labbra in segno di protesta in seguito al rigetto della richiesta d’asilo e gli inutili tentativi di farsi ascoltare dai giudici. Ricordiamo che per lei, come per tante donne vittime di tratta, il ritorno a casa significherebbe andare contro un grave rischio di morte. I parenti non le perdonano una gravidanza fuori dal matrimonio. 
È tornata la “normalità” dei quotidiani maltrattamenti, delle abituali provocazioni sbirresche, degli ambigui e altalenanti comportamenti degli operatori della Misericordia che, a quanto ci raccontano, sembrano guidati solo dal loro dovere di secondini, assecondando senza nessuna pietà gli ordini ricevuti da poliziotti. 
Una normalità che dal giorno della protesta li vede abbandonati fuori dalle loro celle, giorno e notte, per terra sotto la pioggia e il sole. Per i venti che occupavano le cinque camerate date alle fiamme sono ormai sei le notti passate all’aperto, con solo una coperta addosso, hanno freddo, si stanno ammalando e nessun medico li ha visitati. Molti di loro hanno iniziato uno sciopero della fame. Sono stremati, indeboliti e ieri una donna è stata portata via con l’ambulanza perché si era sentita male. Continuano a dirci che dai Cie di Bologna e Modena non si esce, che qui non concedono nulla. Solo in questi giorni 15 internati sono stati portati davanti al giudice di pace e per tutti è stata confermata la reclusione.
Durante il presidio di solidarietà di venerdì 28 maggio, si sentivano provenire da dentro delle urla strazianti, urlavano “libertà” e questa volta si sentivano anche molte voci femminili. È la rabbia che li fa resistere, non riescono a capire il perché di questa assurda detenzione, alcuni dicono che preferirebbero passarli in carcere questi sei mesi piuttosto che vivere l’inferno del Cie. Chiedono aiuto, hanno bisogno della nostra presenza solidale per non sentirsi soli e dicono che nonostante tutto continueranno a resistere.
Riferendosi all’indifferenza e alla mancanza di pietà degli operatori della Misericordia, uno di loro al telefono ci ha detto «e poi parlano tanto di Hitler…e questo razzismo cos’è allora?».
È il razzismo dilagante della politica di ignobili figuri che propagandano sentimenti di violenza contro gli immigrati per scatenare quella guerra tra poveri che da sempre garantisce il mantenimento del potere. È il razzismo dilagante di chi finge di non sapere nemmeno dell’esistenza di luoghi come i Cie in cui persone vengono rinchiuse perché non hanno un permesso di soggiorno, dei maltrattamenti gratuiti che vengono loro inflitti, degli interessi di chi li gestisce guadagnando fino a 75 euro ogni giorno per ciascun recluso, del meccanismo di sfruttamento che vi sta dietro che garantisce manodopera disponibile a tutto pur di aver di che mangiare, dei soprusi e degli stupri su donne che vengono mantenute così nel giro della prostituzione dentro e fuori le mura.
Anche quando viene affrontato l’argomento sui media, come è successo venerdì scorso su rai tre nella trasmissione di “forte denuncia” Mi manda raitre, nella quale è stata raccontata la vicenda della donna tunisina che si è cucita le labbra, la verità viene rappresentata sempre a metà. Solo un cenno brevissimo è stato fatto sulla rivolta in atto in questi giorni nel lager di via Mattei. Se da una parte svelano dall’altra nascondono e minimizzano, e scelgono la notizia che può far meno male alla democrazia che sostengono. Insomma dell’orrore dei Cie nessun giornalista e nessun politico si prende la responsabilità di parlare e i “bravi cittadini” voltano la testa dall’altra parte.
Questa gente continui pure a dormire sonni tranquilli, la rivolta li sorprenderà nel sonno perché la tenacia e il coraggio di chi non si arrende e cerca di riprendersi la libertà non si placano. 
Le fiamme continueranno a divampare e le lotte fuori e dentro i Cie non si fermeranno né a Bologna né nel resto d’Italia e d’Europa.
Sempre al fianco dei ribelli che resistono. 
Solidali con i reclusi
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