Contro i “tecnici” dello sfruttamento e della repressione…

Questo sistema non sembra affatto “in crisi” quando si tratta di reprimere. La sua ferocia si manifesta quotidianamente, in particolare quando si tratta di migranti e di solidali: esecuzioni sommarie come quelle di Milano e Ravenna; “suicidi” che si moltiplicano, non ultimo il caso di una donna ucraina in un commissariato triestino; milioni di euro spesi in inchieste orchestrate ad hoc contro attivisti/e che non intendono essere complici di questo stato di cose,…

Eppure ancora qualcuno si stupisce che, nell'”Europa dei diritti”, le/i migranti vengano deportati con le mani legate e il nastro adesivo sulla bocca, come se questa “normale operazione di polizia” non si ripetesse da oltre un decennio e non avesse già causato delle morti!

L’indignazione parolaia dei culi di pietra mostra tutta la sua miseria di fronte a chi chi si autorganizza e rilancia le lotte.

Segnaliamo, al proposito, due importanti iniziative:
Milano, sabato 21 aprile, ore 17: manifestazione sotto il carcere di San Vittore – al fianco degli arrestati No Tav e dei/delle detenute/i in lotta, contro carceri, Cie e grandi opere (guarda la locandina e ascolta la trasmissione di RadioCane)

Bologna, 25 aprile, ore 15.30, piazza XX settembre: Quale liberazione?, corteo per rompere l’assordante silenzio in cui ci vorrebbero rinchiudere (guarda la locandina)

Ricordiamo anche che lunedì 23 aprile si terrà a Bologna l’udienza preliminare del processo-montatura contro le compagne e i compagni del Centro di documentazione Fuoriluogo.
Di seguito il comunicato di compagne, femministe e lesbiche solidali.

E adesso…

E adesso si “scopre” che sistema e partiti sono una cloaca di mafiosi, corrotti e corruttori; si “scopre” che lo Stato massacra e uccide e che solerti agenti delle forze dell’ordine minacciano, derubano e stuprano.

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Una piazza contro i CIE

ROMPIAMO IL SILENZIO SULLA VIOLENZA DELLA POLIZIA
PORTIAMO IN PIAZZA LA SOLIDARIETÀ AGLI IMMIGRATI

Grazie a leggi razziste volute da governi di centro-destra come di centro-sinistra, gli immigrati in Italia sono sotto un continuo ricatto burocratico, costretti ad accaparrarsi i pochi “posti” messi a disposizione dai decreti-flusso, decisi in base ai bisogni del mercato dello sfruttamento salariale e quando non riescono a legalizzarsi diventano surplus sul mercato nero, una massa di schiavi a basso costo senza alcuna protezione.

Questi uomini e queste donne sono considerati meno di niente, non hanno nessun tipo di garanzia, sono in balia dell’insano arbitrio dei tutori del disordine. Un “normale” controllo di documenti può finire in ore di angoscia in questura o nella reclusione in un Cie per mesi, nella tormentata attesa di sapere qualcosa sul proprio destino.

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Gloria, condannata a morire

Ho il terrore che mi rimandino in Nigeria. Non potrei curarmi. Mi lascerebbero morire, in fretta. Ma anche in questo posto non resisto: ho l’Aids e un fibroma, sono obesa e anemica, la tiroide non funziona bene.

Così aveva detto Gloria ad una giornalista entrata in febbraio nel lager bolognese di via Mattei.

E’ stata deportata, con l’inganno, qualche giorno fa…

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Claudio D’Orazi, ennesimo stupratore in divisa

Premettiamo: non c’importa che giudici e giornali la chiamino “concussione sessuale”. Per noi si chiama stupro e punto!

Dopo i poliziotti che rapinavano gli immigrati, adesso la questura di Bologna deve gestirsi il caso di questo assistente capo dell’ufficio immigrazione, che per tre anni (così dicono i giornali, ma chissà per quanto tempo realmente) ha preteso rapporti sessuali in cambio del permesso di soggiorno.

Cosa dovremmo aggiungere a ciò che da tempo andiamo dicendo sugli stupratori in divisa?
Proprio lo scorso 8 marzo era stato distribuito un volantino con la lista dei casi più recenti di cui si era a conoscenza.
E qualcuno/a si stupisce ancora?

Ecco qui due articoli apparsi oggi sui giornali.

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“Offendere le donne per intimidire e minare la protesta”

Una attivista NO TAV interviene a proposito delle offese sessiste rivolte alle donne dagli uomini in divisa che stanno occupando militarmente la Val di Susa, e scrive:

Parlando con tante di noi mi sono scandalizzata di molti episodi gravi in cui le donne sono state apostrofate con epiteti sessisti dalle forze dell’ordine, disprezzate perchè donne, insultate per intimidirle; non avendo argomenti nè intelligenza hanno usato il vecchio metodo: o angeli o puttane, o streghe o madonne.
NOI NON CI STIAMO.
[…] raccogliamo tutti gli episodi in cui siamo state ferite da parole aggressive, perchè sono loro che devono vergognarsi della loro bassezza, dei loro comportamenti non umani.

Conosciamo bene questi metodi, da sempre usati contro le donne in lotta.

Il blog Noinonsiamocomplici dà piena disponibilità a pubblicare e diffondere le testimonianze che verranno raccolte fra le donne della Valle che resiste.

(Altri interventi delle/sulle donne NO TAV: 1,2,3)

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Aggiornamento

L’udienza preliminare del processo contro le compagne e i compagni di Fuoriluogo è stata rimandata a data da destinarsi. E’ rimandato anche il presidio sotto il carcere minorile.

E intanto Repubblica scopre che i Cie sono luoghi disumani, cosa che da anni denunciano pubblicamente tutte/i coloro che lottano contro le istituzioni totali, prendendosi pure decine di denunce…

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Nessuna complicità con questo sistema, le sue gabbie e le sue guerre!

Mercoledì 29 febbraio si terrà a Bologna l’udienza preliminare del processo alle compagne e ai compagni di Fuoriluogo. Da che è stata rinviata, il 12 dicembre scorso, la repressione e l’ingiustizia sociale – che viaggiano sempre a braccetto – in questo paese si sono fatte ancora più feroci.

Come in ogni guerra, anche in questa guerra interna è la vita stessa ad essere in pericolo.
Di fronte a un compagno, Luca Abbà, che ha rischiato la vita nella lotta contro la nocività del Tav e l’occupazione militare della Valsusa, i lavori del non cantiere non si sono fermati, perché il profitto – disumano per essenza – non si ferma nemmeno di fronte a un corpo che si schianta al suolo.

Contemporaneamente a chilometri di distanza, in una zona degradata di Carrara, veniva trovata morta Olga Komut, una donna ucraina di 31 anni incinta al settimo mese, costretta a vivere in una tenda.
E non sono che due esempi.

Mentre lo Stato uccide, ci scalda il cuore la forza vitale di chi riesce a fuggire alle sue gabbie, come è accaduto nel lager di Trapani.

Condividiamo e rilanciamo l’appuntamento lanciato dalle compagne e dai compagni sotto processo a Bologna, per un presidio solidale fuori dal carcere minorile di Bologna – altro luogo di soprusi e violenze – mercoledì 29 febbraio dalle 18, in via del Pratello 34 (leggi qui l’intero comunicato).

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Strade sicure?!?

 

Dopo averne militarizzato il territorio, adesso si impone alla popolazione aquilana la presenza degli stupratori in divisa.

Da due giorni, infatti, i tre militari coinvolti nello stupro di Pizzoli, pattugliano, con altri, le strade dell’Aquila nell’operazione “Strade sicure”,  come denuncia il comitato 3e32.

Chissà che ai vertici dell’Atm milanese non venga in mente di coinvolgere costoro anche nell’operazione “metro sicuro” (anzi, “metro rosa“): “spazi videosorvegliati, protetti e segnalati sulle banchine” e “ronde di vigilanti addetti al controllo delle «utenti deboli»”. Un’operazione partorita dalle geniali menti di Elisabetta Oliveri (ex ad Sirti) e Alessandra Perrazzelli (manager di Intesa Sanpaolo) col plauso della giunta Pisapia.

Lo avevamo detto: NOI LA CHIAMIAMO GUERRA!

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Siamo in guerra

Una giovane donna alcuni giorni fa è stata violentata e martoriata sadicamente all’uscita da una discoteca di Pizzoli (Aq). Di mezzo ci sono dei militari del 33esimo reggimento artiglieria Acqui e, pare, anche la fidanzata di uno di loro.

Malgrado le gravissime lesioni riportate dalla donna, i quotidiani da giorni parlano di “presunto stupro” e non fanno i nomi di questi luridi infami.

Noi la chiamiamo GUERRA.

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A Milano un agente di polizia locale, Alessandro Amigoni, ha sparato alla schiena di un immigrato disarmato. E’ morto così Marcello Valentino Gomez Cortes, ammanettato  a terra dopo che un proiettile gli aveva trapassato il cuore.

Tullio Mastrangelo, comandante della polizia locale, dice che “è stata violata una procedura”.

Noi la chiamiamo GUERRA.

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Da mesi le/i familiari di centinaia di migranti tunisini dispersi chiedono all’Italia notizie dei loro cari. L’Italia tace.

Noi la chiamiamo GUERRA.

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La lotta di Malika non si ferma…

Oggi si riapre l’inchiesta sulla vicenda di Malika, di cui avevamo già parlato qui.

Ascolta direttamente le sue parole… e preparati alla manifestazione!

Ascolta anche l’intervista a Malika, a cura del Martedì autogestito da femministe e lesbiche di Radio Onda Rossa.

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